ANTOLOGIA CRITICA

NE HANNO PARLATO:

 

Francesco Amato, Gianni Borta, Raffaella Cargnelutti, Antonio Coppola, Licio Damiani, Antonio De Lucia, Severino Galassi, Arturo Manzano, Romano Marchetti, Luciano Martinis, Liliana Muti, Carlo Mutinelli, Alcide Paolini, Armando Pizzinato, Paolo Rizzi.

 

 


 

ALCUNE RECENSIONI

 

 

        Elio Martinis è di Ampezzo. Della Carnia certo conosce la dura vita, le antiche leggende, le vecchie sculture e l’arte popolare lignee: ma credo che si sia scoperto scultore osservando piuttosto le pietre e gli alberi. Penso che delle pietre e degli alberi sia allievo e il bisogno di cavar forme, dalla pietra e dal legno, gli sia venuto a forza di scrutare nell’interno di un tronco o di un masso per scoprirne la costretta contenuta immagine.

        Per dar forma a questa immagine, per rivelarla innanzi tutto a sé stesso, s’è buttato a cavar rapidamente “l’in più” di materia e son così venute alla luce queste sue sculture talvolta sin troppo aspre e sintetiche, ma dove la forma è sempre còlta nel suo valore essenziale.

        Quel che conta è che ha saputo istintivamente sentire la necessità di costruire con forme bloccate, elementarmente sbozzate, come per un bisogno di stabilire intanto una solida base per un sicuro inizio.

        Il più genuino e il meglio di lui è in alcune sculture di pietra e nei legni dove le forme sono più ferme e chiuse, più sicuramente architettate, dove non s’è lasciato tentare da analogie morfologiche suggeritegli da più o meno suggestive ramificazioni.

 

  Armando Pizzinato, artista, docente all'Accademia di Venezia

  per la Personale alla Galleria Boccadasse di Genova – 6 - 19 gennaio 1966

 

 

 


  

        I disegni di Martinis dicono di problemi di cultura e di partecipazione a un mondo artistico di più vaste proporzioni, prova della irruente necessità di estrinsecazione personale. Essi si presentano gradevoli, spesso scenograficamente interessanti, e di concetto quasi sempre comprensibile a tutti.

 

  Carlo Mutinelli

  Direttore dei Musei del Friuli

 

 

 


 

        L'osservazione della realtà procede, in Elio Martinis, dall'uomo al paesaggio. Le sue figure umane non sono mai isolate, pur essendo avvolte di silenzio che risulta dai decisi contrasti di luci e ombre: silenzio che avvolge il divenire nella temporalità della tragedia greca o nella staticità temporale del miglior Verga.

        Nelle figure di Elio Martinis non c'è dialogo, c'è semmai coro, non dramma, ma la stessa tragedia per cui Shakespeare afferma: “Il resto è silenzio”. Ogni linea, anche nei paesaggi, è chiusa in sé stessa e nel cielo dai toni irreali, o negli sfondi o assenti o pregni di colori tragicamente pesanti.

        I gialli e i rossi ci parlano il linguaggio dell'essere in masse statiche. Per richiamarci ancora ai Greci, bisogna far cenno alla scuola eleatica più che al divenire eracliteo. Non per niente Martinis è anche scultore: masse e volumi si animano di chiaroscuri, ondeggiano e si fissano nell'eterno esame dell'essere.

        E' il caso di dire che qui il dato sensibile assume il valore della forma che porta i contenuti a materia di arte.

 

  Liliana Muti, critica d'arte

  Personale alla Galleria Jesulum

  22 - 31 luglio 1966

 

 

 


  

        Grandi strisce curve di colore, tracciate con vigore sulla tela: questa la pittura di Elio Martinis, friulano che espone alla Galleria Fontana di Venezia. C’è un’evidente ricerca dell’effetto. Talune opere hanno comunque un piglio scenografico notevole, che punta su una suggestiva illusione spaziale. Una mostra che si vede con un certo interesse.

 

  Paolo Rizzi, critico d’arte del “Gazzettino”

  16/09/1969

 

 

 


  

        Martinis, sia come scultore che come pittore, non indulge alla facile moda oggi in voga, e nemmeno indugia nella ricerca descrittiva ed accademica. Il suo stile personalissimo ed inconfondibile si conferma soprattutto in queste ultime esperienze dettate da una sincera e meditata aspirazione di ricerca.

 

        Da: L’Informatore Artistico di Roma, giugno 1966

 

 

 


 

        Per Elio Martinis possiamo, volendo, fare una storia dei processi figurativi. Qui occorre sostanziare quel pathos interno da dove dipendono le vibrazioni, la stessa naturalità del sentimento, passo obbligato per dialogare con l’universo. Nel corso delle sue sculture, viste in successione di eventi, ci accorgiamo che le sembianze appaiono, scompaiono, mutano contorno e intensità.

        L’Artista compie lo sforzo a definire la natura e il carattere (una cosa non dispensabile; è soddisfatto comunque di aver recuperato dalla figura un’esistenza storica, etnologica) ma permane quel moto dell’inconsistenza e della forma come libera emozione, come dominio e condizione di esistenza, il “qui-ora” del nostro essere, indipendente dagli oggetti-personaggi che Martinis si compiace a dare una forma “classica” e pathos.

        Gli oggetti-personaggi dai quali sopravvive quasi l’artificio sono calati in una tradizione simbolica, vale a dire quel risalire alle azioni, ricreare la spontaneità, la naturalità, e l’essenzialità di quell’impulso: ed è per Martinis la condizione di preesistenza, è una preistoria che egli cerca e tutto quel passato precipita nel presente e l’opprime.

        Da qui prende le mosse il pensiero della forma come libera crazione, il motivo dell’arte-giuoco per rappresentare i processi della visione naturalistica, seguendo il problema dello oggetto e della figura nello spazio nei suoi effetti essenziali, espressivi per allontanarvisi da quelle che già furono stilizzate forme e seppure simulacri.

        Come per la scultura, valga per i disegni, questa sua partecipazione ad una naturalità così unitaria ed armonica che non tollera veramente nessun dualismo di apparente e reale, ma si estrinseca sul terreno dei problemi di fondo.

        Nei disegni martinisiani assistiamo ad una scenografica grazia di figure che diventano valori umani tormentati e tormentanti: miti e simboli remotissimi acquistano così una pensosa e straordinaria contemporaneità.

 

  Antonio Coppola, critico d’arte

  Roma, 13 maggio 1981

 

 

 


   

        L’arte di Elio Martinis è, nella pittura, l’acuto tribolare di una spatolina che spalma e graffia una lacca gravida di nervosi umori e cangianti sentimenti che sfiorano soavemente l’incantato intendere dell’anima.

 

  Severino Galassi, artista

 

 

 

        Spatolata improvvisa ed esaltata come un gesto di stizza; graffio veloce ed istintivo come una cattiva unghiata; colore intenso che freme simile a rabbia sopita in un drammatico e ineluttabile profondo.

        Questa è l’Arte attualissima di Elio Martinis, un’Arte che soffre l’ansia allucinata dei nostri giorni, e la compendia in un frenetico “pathos” che assaporando tutte le amarezze, si commuove in vertiginosi abbagli policromi, abbandonandosi al sogno della speranza.

 

  Severino Galassi, artista

  presentazione della Personale alla Galleria “Fontana” di Venezia,

  2 - 15 settembre 1969

 

 


 

 

        Elio Martinis è di Ampezzo, nella quiete cerulea della valle Del Lumiei vive e lavora. Il suo mondo è quello del bosco con le fate, dove ci si può chiudere nell’idillio di foreste incantate, ascoltare il mormorio di vaghi ruscelli, scambiare qualche parola con montanari meravigliosamente ignari di tutto o con le capre, demoniaca presenza delle montagne.

        Martinis, 46 anni, è giunto all’Arte quasi per caso, forse per vocazione, dopo un travagliato periodo post-bellico. Raggiunta la serenità, poté udire le voci che “urgono dal di dentro”, i sensi artistici assopiti si risvegliarono, le stesse cose apparire con un’altra faccia. Non gole minacciose e torvi casolari: ma mattine frizzanti, i ciuffi di fieno allineati sui colli, i sentieri perduti tra le pietraie ai piedi dei monti, voci salienti, il passo di una donna con la gerla, il grido di un uccello nascosto. La Carnia insomma, con la giovinezza e la meraviglia delle prime impressioni di un poeta. Poesia, amore e dedizione alla Natura ricorrono e condizionano le opere di Martinis. Le sue sculture in pietra, con quei tagli caustici, severi, quasi barbari, vividi di bagliori, nascono da un lungo frugare nelle pietraie; finché lo scalpello, secco ed arcano, ne schiude il loro segreto. Un abbandono generoso alla forza primordiale dell’istinto poetico dove sensibilità e forza conciliano. Nel legno le forme si fanno più chiuse e meditate, meno aspre: i Cristi, i Vescovi, i guerrieri, gli Angeli, composizioni varie, o le maschere, retaggio di un’arte arcaica, sono di maggior immediatezza percettiva. I disegni, che denotano la mano di uno scultore, si rivelano preziosi per la spontaneità dello slancio creativo e della sensibilità emotiva.

        Martinis, che si identifica nella pietra delle rocce, tanto da apparire quasi scolpito come una sua opera; che della Carnia conosce le verdi pagine dei boschi e la sua dura vita, la “resistenza” per non seguire le rondini emigratorie; si ripresenta a Udine alla Galleria del Centro per dire la sua parola all’Arte.

        Una voce armoniosa che non giunge all’orecchio, ma suona dentro l’anima.

 

  Gianni Borta, artista

  presentazione della Personale alla “Galleria

  del Centro” di Udine, 16 – 28 marzo 1968

 

 

 


 

IL MODERNO E IL CLASSICO NELLE SCULTURE DI MARTINIS – Francesco Amato, 1991

 

        Una stilizzazione moderna che affonda le radici nel classico: questo è il primo pensiero che affiora, spaziando lo sguardo, critico e attento, nell’ampio scenario statuario, un incredibile orizzonte di bellezza tra l’incanto e l’estasi, che è il campo della coscienza artistica di Elio Martinis.
        Sono sculture che ti prendono, per armonia ed essenzialità, in cui lo spazio svolge una precisa funzione complementare, nella piena autonomia, fuori cioè di ogni possibile accostamento a questa o quella parentela spirituale. E non è poca cosa.

        È una figurazione, questa di Elio Martinis, che si sviluppa, prima di tutto, nell’idea, isolata; nel bozzolo della propria mente, per poi passare, senza dipendenze strutturali, nel “laboratorio” della sua coscienza artistica dove, plasmata e lievitata, l’immagine prende corpo e anima, si fa vita, ora in una palpitante contemplazione poetica, quasi straniata e sognante, ora presa nelle spire esistenziali, calata nella realtà oggettiva.

         È così che lo scultore, nell’umile silenzio di una coerenza granitica, viene costruendo le sue opere, prive di fronzoli manieristici: sono “creature” asciutte, le sue, e intensamente espressive, slanciate, aerodinamiche.

         Senza dubbio si tratta di una espressione artistica originale, nata, come si diceva, in un’amalgama di vitalità e sintesi dentro le valenze e i segni del proprio estro creativo.

         “Non lavorerò più” dice, “perché le mani sentono l’età”. A questo punto penso sia importante parlare della materia plasmata da cui nascono le “figure” che si stagliano nello spazio con autonoma designazione, soprattutto per quanto concerne l’aspetto della qualificazione estetica. La materia e l’acciaio o, per essere più preciso, lamina di acciaio dolce. E vedere come le mani di questo settantenne riescono a trasformare tale lega, dare forma e vita, volto ed espressione, lascia perplessi e, nel contempo, non puoi fare a meno di esternare la tua ammirazione.

 

        Francesco Amato, critico d'arte, 1991

 

 


 

 

        Per scrivere di Elio Martinis non bastano poche righe di circostanza: egli meriterebbe una biografia monografica che puntualizzi e metta in luce le doti straordinarie dell’uomo e dell’intellettuale autodidatta.

Dell’uomo carnico e primordiale per l’attaccamento alle umilissime origini che lo fanno puntigliosamente montanaro e terragno in continuo anelito di libertà per la quale ha combattuto da partigiano garibaldino con lo slancio coraggioso che gli proveniva dallo stesso nome di battaglia “Furore” appunto, come ebbe a riconoscere Patrick Martin Smith nel libro “Friuli ’44 un ufficiale britannico tra i partigiani”.

        Dell’intellettuale autodidatta in campo geologico e conseguenti studi paleontologici con relative scoperte la cui importanza scientifica ha ottenuto il crisma della ufficialità internazionale dal momento che ad alcuni reperti è stato dato il suo nome, come in astronomia certe stelle portano il nome del loro scopritore.

        Da quest’uomo che sviscera la terra per dare luce ai fossili più reconditi, scaturisce anche l’artista che plasma la pietra, il legno e il ferro; ma non ci si attenda compiacenze formali che trasformano la materia in ipocrite piacevolezze. Con l’intuito del segugio e la sensibilità dell’intelligenza egli raccoglie e interviene sui cascami della materia prima per farli rivivere in omaggio alla libertà.

 

  Romano Marchetti

  Presentazione della Mostra

  “Elio Martinis, Uomo, Artista, Partigiano”

  Palazzo Frisacco, Tolmezzo

  29/04 – 22/05 1994

     

 


 

 

        Parlare di Elio Martinis vuol dire parlare di un uomo, un artista presente, che vanta la veneranda età di 87 anni; essendo nato nel 1921. Parlare di Elio Martinis significa aggiungere ulteriori parole a quanto già detto da  Di Bortolo, Colautti, Coppola, Damiani, Galassi, Grassi, Manzano, Marchetti, Muti, Mutinelli, Pizzinato, Alcide Paolini, Rizzi, persone, critici, altamente qualificati per esprimere giudizi sulle sue opere. Non voglio inoltre enumerare il considerevole numero di testate regionali e nazionali che hanno scritto di lui.

        Non desidererei per altro inoltrarmi in quel campo irto e forse arido di terminologie tecniche ed espressioni per me non facilmente afferrabili: informale, espressionismo astratto, campi cromatici, espressionismo lirico, ricerca astratta, sensibilità materica, una infinità di termini che certamente inquadrano l’opera in uno stile, in un periodo, in un luogo, ma che dal mio punto di vista ancor che modesto appaiono schermi alla percezione degli impulsi dell’anima. Voglio provare dunque a seguire un percorso non dall’opera verso me, ma da me verso l’opera. Ciò che percepisco è poesia, una poesia che attraverso le opere di Elio Martinis mi o ci lascia una consegna.

        Leggo in maniera diversa il nome di battaglia che lo distinse nella resistenza: comandante Furore, in maniera forse dissociata.

Vi leggo Furore come carica, come decisione e precisione nel liberare nel esternare un’immane desiderio espressivo, ma di una espressività legata a doppio giro di fune ad una umanità che a sua volta afferra coi denti e con le unghie quell’anelito di libertà, di giustizia, di cantato diritto alla gioia. Non posso guardare l’opera di Martinis, spiegarvi il perché mi viene assai difficile ma qui mi viene in soccorso l’intuizione di un grande poeta. Gli artisti egli spiega, sono accompagnati dalla musa e dall’angelo. La musa apre la strada, l’angelo li protegge, ma essi volano sulle teste degli artisti, sono staccati dalla corporeità, dalla materia, e comunque sono limitati dalla ragione. Ciò che fa diverso, superiore un’artista non è la tecnica o la forza di volontà “ che tuttavia contano” ma è il demone che abita le stanze del suo cuore. Una creatura ( in friulano potremmo identificarlo col Cjalciut) che nasce dalla terra, ed attraverso la pianta dei piedi risale fino alle desolate stanze dell’anima, e da lì sciogliendosi nei tubi del sangue irrompe sotto forma di energia tale da catturare, non la mente, ma bensì l’anima di chi la osserva. Un qualcosa di immateriale ed allo stesso tempo prepotente, essenziale per spazzare via banalità, ed offrire all’uomo la possibilità di traguardi degni di quella meravigliosa creatura che è.

        Sia nella scultura che nella pittura di Martinis, gli strumenti lasciano impronte simili, vi leggo lo stesso linguaggio, ciò denota coerenza, sincerità, onestà nel proporre quanto dell’anima gli sale, e che con le mani use ai più duri elementi, con decisione, con precisione, abilmente realizzano, e leggo, affettuosamente ci propongono.

Avere un’opera di Martinis, è avere un paletto, preciso, sul sentiero delle grandi idealità.

 

Antonio De Lucia, attore

per l’inaugurazione dell’esposizione “Gli anni ‘60”

Ospedale dei Battuti, San Vito al Tagliamento 

20 dicembre 2008 

 

 

 


 

 

Media che ne hanno parlato:

 

L’Avanti;

L’Unità; 

Il Secolo XIX di Genova; 

L’Informatore Artistico di Roma; 

L’Informatore Sindacale di Roma; 

Il Gazzettino di Venezia; 

Il Messaggero Veneto; 

Il Piccolo di Trieste; 

La Gazzetta di Modena; 

Il Baricentro di Modena; 

La Sonda di Ancona; 

L’Ordine di Como; 

Jesulum – Arte e Cultura di Jesolo; 

La Prealpina di Varese; 

Friuli d’Oggi; 

Carnia Domani, di Tolmezzo (Ud); 

Turismo Alpino di Udine; 

RAI di Trieste; 

RAI di Venezia; 

RAI di Genova.